Fairtrade e l’agenda per l’equità
È uscito l'ultimo rapporto annuale di Fairtrade International: tutte le iniziative, i progetti e i risultati raggiunti verso una maggior equità nelle filiere globali
Continua a leggereMentre stiamo scrivendo, migliaia di persone di Haiti che lavoravano nelle piantagioni di banane in Repubblica Dominicana, dove fino a due mesi fa guadagnavano appena di che vivere, stanno aspettando che riaprano le frontiere per tornare a casa. Accanto a loro, per distribuire viveri e beni di prima necessità, per ora ci sono soltanto le organizzazioni certificate Fairtrade che stanno fronteggiando l’emergenza e cercando di assistere chi è più debole. Il problema non è solo sociale ma anche sanitario: chi non ha un permesso regolare, quando ha problemi di salute non si avvicina alle strutture per paura di essere espulso o, peggio, arrestato. Chi non ha documenti, non può accedere ai servizi di base, non può chiedere aiuto e vive in maniera ancora più drammatica l’isolamento. In questo caso, non può nemmeno lavorare e questo provoca un rallentamento nei processi di raccolta che causa inevitabilmente anche un rallentamento nelle consegne verso l’Europa e gli Stati Uniti.
Dall’altra parte del mondo, migliaia di lavoratori del settore del tè, rischiano la fame per la chiusura delle frontiere: chi emigrava verso l’Assam o il Darjeeling per la stagione di raccolta, che si svolge da marzo a maggio, si è visto chiudere anche questa possibilità. Tra queste persone senza nome, il virus che sta dilagando sarà ancora più pericoloso e devastante del Covid-19: la fame.
Lavoratori migranti, richiedenti asilo, profughi sono in questo momento isolati in abitazioni precarie e in condizioni igienico sanitarie gravi nelle campagne del Sud Italia. Continuano a lavorare da braccianti senza diritti nei campi, continuano a vivere in situazioni precarie, senza la possibilità di accedere ai servizi sanitari per paura di venire scoperti e denunciati.
Lavoratori dell’Europa dell’Est, che emigravano nelle campagne del Nord Italia per collaborare alla raccolta della frutta in primavera e in estate, sono stati costretti a rimanere nei loro paesi, bloccati dalle frontiere chiuse.
Che cosa succederà nelle nostre campagne se non ci saranno abbastanza lavoratori per contribuire alla raccolta? Che cosa succederà se nei campi del Centro e Sudamerica, dell’Asia si dovrà rinunciare a parte del personale? Se quel primo anello della catena alimentare, che assicura a tutti noi cibo, verrà in parte a mancare? Che cosa succederà ai lavoratori che vivono in clandestinità se non potranno curarsi in caso di malattia o se anche le campagne della Puglia e della Campania si trasformeranno in focolai senza controllo?
In questa Giornata del primo maggio, dove si ricordano le lotte sostenute dai lavoratori per far valere i loro diritti, Fairtrade Italia vuole mettere al centro i più deboli nelle filiere alimentari locali e globali. I più deboli e i più nascosti, coloro che non risultano nella conta dei numeri di chi contribuisce al nostro cibo quotidiano ma che pure sono indispensabili per garantire che arrivi sulle nostre tavole. Vogliamo far emergere i volti di chi non ha volto e voce nel dibattito sul mondo del cibo, ancora più complicato dall’arrivo di un virus subdolo che rischia di mietere indirettamente più vittime della stessa malattia.
Ci stiamo muovendo per far emergere il sommerso, per restituire voce a questa umanità silenziosa.
La nostra terra ha bisogno di chi la coltivi, ma alla luce del sole e in condizioni di trasparenza e di rispetto dei diritti umani. Oggi più che mai, l’emergenza provocata dal Coronavirus ci ricorda in modo sempre più urgente che il lavoro è un diritto e che garantire il lavoro, in particolare di chi contribuisce a fornire il cibo di cui ci nutriamo, vuol dire garantire la sopravvivenza di noi tutti.