I produttori di cacao dovrebbero guadagnare di più. E Fairtrade ha bisogno di voi

Mentre le aziende continuano ad aumentare i loro profitti e i consumatori a mangiare il loro prodotto preferito a costi contenuti, i coltivatori di cacao non riescono a sopravvivere dignitosamente. 

Anche quest’anno abbiamo chiuso la Pasqua con vendite record di prodotti, tra colombe e uova di cioccolato: 15 milioni di kg, stimano i produttori, per un fatturato da 422 miliardi di euro solo in Italia, a dispetto della crisi economica e del rincaro dei prezzi in media del 15% dovuto all’aumento dei costi delle materie prime. Ma cosa resta di questa percentuale a chi coltiva il cacao nei Paesi di origine?

Il contesto in Costa D’Avorio e Ghana

Ne abbiamo parlato e scritto tante volte: agli agricoltori da cui dipende una materia prima fondamentale su cui si reggono i bilanci di aziende di svariate dimensioni, restano meno delle briciole di questo giro di affari. Ancora recentemente, nel 2018, secondo uno studio commissionato da Fairtrade International che è andato a monitorare il reddito medio di un coltivatore di cacao Fairtrade in Ghana e Costa D’Avorio, ognuno di questi contadini guadagnava meno di un dollaro al giorno. Vi sembra giusto che chi coltiva questo bene che ci è così caro, che allieta le nostre tavole durante le nostre ricorrenze, soffra la fame, ricavando meno della metà di quello che servirebbe a una famiglia per stare dentro la soglia della povertà? E stiamo parlando di contadini associati in cooperative Fairtrade… Figuriamoci gli altri esterni al circuito di garanzia di un Prezzo Minimo e di un Premio riconosciuto.

Ghana e Costa D’Avorio sono i Paesi che forniscono il 60% della produzione mondiale di cacao che fa la gioia dei nostri palati e gonfia le tasche delle aziende. E la sua popolazione di contadini, di lavoratori, soffre la fame? Non c’è una amara contraddizione in tutto questo? Proviamo a metterci nei panni degli agricoltori e a fare uno sforzo di immaginazione.

Raccolta delle cabosse. ©Stanislav Komínek.

Il problema del lavoro minorile

Allora possiamo immaginare che in questo scenario di estrema povertà, le famiglie impieghino tutte le risorse che hanno per far fronte alla loro quotidiana emergenza, coinvolgendo i propri figli nel lavoro nei campi, unica risorsa nella lotta alla fame. Possiamo immaginare, anche se è inaccettabile, che le famiglie vendano questa unica risorsa, la forza lavoro, a intermediari e schiavisti che portano i loro figli a lavorare nei campi. Ma inaccettabile è anche che le famiglie siano spinte a questo perché non riescono a sopravvivere.

Adomesasso, 51 anni, socia della cooperativa Coopaza, in Costa D’Avorio, ha usato il denaro del Premio Fairtrade per costruire la propria casa. ©Sean Hawkey

Il problema della deforestazione

Se faceste fatica a mettere insieme tre pasti al giorno, vi importerebbe di preservare la natura, di proteggere gli alberi? Oppure la vedreste solo come una fonte da sfruttare, a cui attingere per cercare in qualche modo di trarne vantaggio per guadagnare qualche dollaro in più?

È questo uno dei motivi per cui metà della superficie ricoperta da foreste della Costa D’Avorio è andata persa in 60 anni, dall’indipendenza del Paese ad oggi: commercio di legname e tanti, tanti campi coltivati a cacao, arati sulle ceneri di ettari di foresta incendiati per fare posto alle nuove piante, per venire incontro alla domanda dei mercati mondiali, alla corsa all’accaparramento delle materie prime. Di ettaro in ettaro perché incenerire gli alberi porta sì a un iniziale aumento della fertilità del suolo ma anche al suo progressivo impoverimento. Per ricostituire un terreno debilitato dagli incendi e dalla monocoltura, ci possono volere anche 20 anni.

Som Defrote, della cooperativa Capressa (Costa d’Avorio) ©Simon Rawles

Cosa fa Fairtrade

In una situazione così complicata che vede interessi milionari concentrati nelle mani di poche aziende che gestiscono i flussi di materia prima, Fairtrade propone una delle risposte alle problematiche che stanno affrontando i contadini africani. Anzitutto continua ad assicurare il più alto Prezzo minimo di tutte le altre maggiori certificazioni, che al momento per il cacao è $2,400 per tonnellata FOB. In aggiunta c’è  il Premio Fairtrade, il più alto e non negoziabile premio offerto da tutti i principali sistemi di certificazione, che attualmente corrisponde a 240$ per tonnellata di cacao.

Tutto questo purtroppo non è ancora abbastanza per cambiare sostanzialmente la vita degli agricoltori anche appartenenti alle organizzazioni certificate, che in media vendono solo il 29% dei volumi che producono in termini Fairtrade (e quindi ottengono Prezzo e il Premio in maniera proporzionale a quel valore).

C’è bisogno di più Fairtrade e di più partecipazione

Fairtrade non basta per risolvere tutti questi problemi, in particolare quando una cooperativa non riesce a vendere tutto il suo raccolto a condizioni Fairtrade.

Occorre comprendere che Fairtrade non paga i produttori di cacao. Sono i trader, importatori ed esportatori a farlo. E i trader certificati Fairtrade sono obbligati a pagare i produttori alle condizioni Fairtrade. Ma sono disposti a farlo al prezzo che chiedono i consumatori. Per questo è fondamentale che i consumatori comprendano che il loro ruolo è decisivo in questa partita. La domanda che ciascuno dovrebbe farsi è: quanto sono disposto a pagare per il cioccolato?

La legge della domanda e dell’offerta si applica anche alle produzioni Fairtrade, e Fairtrade rappresenta il punto di equilibrio tra i consumatori che vogliono promuovere la sostenibilità e la scelta delle aziende di imboccare questa strada. Ma se i consumatori non sono disposti a chiedere alle aziende di assicurare più impegno per i produttori, e a riconoscere questo a livello economico, per quali ragioni dovrebbero farlo le aziende?

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