La sofferenza delle persone è un ingrediente del cibo di cui ci nutriamo?

Il primo ottobre la Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo ha votato per una Direttiva che assicura la protezione dei produttori agricoli dentro e fuori l’Europa e che bandisce pratiche di commercio inique (“Unfair trading practices in the food supply chain”). È stato il risultato di un percorso che, attraverso alcuni emendamenti presentati, rischiava di escludere dal regime di protezione gli agricoltori extra UE. Per fortuna, il Comitato Agricoltura del Parlamento Europeo ha scartato questi emendamenti, approvando le misure di tutela contro le Pratiche Commerciali Sleali nelle filiere produttive sia per il produttori europei, che per i produttori extra-UE. Ora inizieranno le negoziazioni con il Consiglio Europeo senza la necessità di passare per il voto in assemblea plenaria, in modo che la proposta legislativa venga approvata prima delle elezioni del prossimo anno. In questa riflessione, pubblicata prima dell’approvazione, Mar-Olivier Herman (responsabile della politica di giustizia economica di Oxfam) e Tom Wills (consigliere politico di Traidcraft) ci dicono perché è importante che nessuno sia escluso dai provvedimenti di protezione.
Ci piace il buon cibo e non c’è niente di più gradevole che condividerlo con gli amici. Ma troppo spesso, il cibo che compriamo contiene un ingrediente nascosto: la sofferenza delle persone che lo producono. Ovvero, per parlarci chiaro, redditi da fame per i contadini, bassi stipendi per i lavoratori e diffusa violazione dei diritti dei lavoratori sono una caratteristiche nella catena di fornitura dei supermercati nel mondo. La proposta di bandire le pratiche inique del commercio usate da molti compratori è una delle possibilità per arrivare a una catena del cibo più giusta.

Produttori di caffè selezionano i chicchi – Cooperativa El Gorrion, Nicaragua. Copyright Sean Hawkey

Un margine troppo “magro” per i produttori

La nuova ricerca di Oxfam “Maturi per il cambiamento” mostra che al di là del prezzo finale che i consumatori pagano per il cibo al supermercato, la quota che va ai piccoli produttori agricoli è un magro 7% (se non meno) per una famiglia di prodotti che comprende caffè, pomodori e banane. Allo stesso tempo, il margine che va ai supermercati ha raggiunto il 48%. Abbiamo parlato con le persone che lavorano nella catena di fornitura dei supermercati a livello globale e abbiamo trovato che la maggioranza di loro fa fatica a dare da mangiare alle proprie famiglie. Questa situazione è in parte dovuta alle pratiche inique nel commercio:  le grandi aziende abusano della loro posizione di potere e cercano di massimizzare i profitti facendo pressione sui propri fornitori attraverso il pagamento delle fatture in ritardo, la richiesta di falsi pagamenti ai fornitori o la cancellazione degli ordini all’ultimo minuto. Questi comportamenti lasciano i produttori in balia di guadagni bassi e instabili e si traducono in scarsa liquidità per assicurare l’accesso al cibo, a condizioni salubri di lavoro, al pagamento di stipendi dignitosi o per investire sulle loro aziende. La proposta della Commissione Europea per fermare le pratiche inique tra le aziende nella catena del cibo potrebbe aiutare a rendere le filiere più eque. Con la sua proposta di mettere al bando del tutto certe pratiche e di assicurare la presenza di un’autorità di controllo in ciascun stato membro, la Commissione ha risposto alla richiesta di una vasta maggioranza di portatori di interesse e di decine di migliaia di cittadini che si sono impegnati a schierarsi con le persone che stanno dietro il codice a barre dei prodotti che comprano.

Raccolta delle banane in Repubblica Dominicana, Banelino – copyright James Rodriguez

Una misura protettiva per tutti

La proposta della Commissione protegge i produttori di cibo e i fornitori sia che abbiano sede in Unione Europea sia che dall’estero vendano in Europa. Alcuni parlamentari avevano presentato emendamenti per limitare la direttiva in modo che tutelasse solo i produttori europei. Questi cambiamenti sarebbero stati fuorvianti e controproducenti. I fornitori nei paesi in via di sviluppo sono spesso i più esposti a pratiche inique nel commercio: non sono tutelati da sindacati forti o dalle leggi nazionali e sono perciò molto più vulnerabili nei confronti degli abusi da parte dei grandi compratori europei. Per di più, stabilire un accordo con i contadini al di fuori dell’UE risponde anche all’interesse dei contadini europei. Se gli agricoltori in Europa fossero protetti da un regolamento, ma non i loro corrispondenti extra-UE, molte aziende sceglierebbero di comprare prodotti agricoli da fornitori più deboli, che non dovrebbero garantire il rispetto di determinati diritti, lasciando i contadini europei fuori dal mercato. (…)
La sofferenza delle persone non dovrebbe mai essere ingrediente del cibo che mangiamo, a prescindere dal fatto che venga dall’Europa o da fuori confine.
Traduzione e adattamento: Ufficio comunicazione Fairtrade Italia

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