Cooperare per cambiare il mondo

La riforma del 2014 ha il merito aver dato finalmente un riconoscimento formale al lavoro che da sempre il commercio equo svolge come attore di sviluppo, ricomprendendo le “organizzazioni di commercio equo” tra le organizzazioni della società civile che sono “soggetti della cooperazione allo sviluppo”. Ma allo stesso tempo la nuova legge ha riconosciuto l’importanza dei “soggetti aventi finalità di lucro”: il mondo delle imprese.
Fairtrade, tra le organizzazioni della società civile, rappresenta il mondo del commercio equo negli organismi consultivi previsti dalla legge. Ma allo stesso tempo è un volano di sostenibilità privilegiato, per mettere a valore nel mondo della cooperazione l’azione delle imprese che fanno della responsabilità sociale un tratto distintivo del proprio agire.
Anche per questo Fairtrade sarà da oggi a Co(Opera), la Conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo partecipando ai due tavoli di lavoro su “settore privato” e “sviluppo sostenibile”.

Molto più che redistribuire

Il Commercio Equo costruisce un approccio alla cooperazione centrato su di un percorso educativo, che coinvolge tutti gli attori della filiera agroalimentare: educare il produttore alla consapevolezza dei propri diritti, al “diritto a un futuro” e di poterselo costruire sulla propria terra; educare l’impresa ad attuare comportamenti responsabili che a lungo termine possono rappresentare anche un fattore di vantaggio competitivo; educare il consumatore al proprio diritto/dovere di essere attore consapevole delle dinamiche di mercato, esercitando sino in fondo il proprio potere di scelta.
Il Commercio Equo è così una pratica dal basso di cambiamento sociale, e per costruire il cambiamento sociale non bastano gli Stati, servono i cittadini e serve costruire un sistema di relazioni.

Fairtrade costruisce relazioni fiduciarie tra attori diversi

Gli agricoltori nei Paesi in via di sviluppo, le imprese che importano e trasformano i loro prodotti, facendoli arrivare sulla nostra tavola e i consumatori: alcuni di questi attori per loro natura sono soggetti commerciali e alcuni di essi non è detto che condividano in toto quel sistema di valori.
Ma grazie alla capacità di fare relazione, pur complicata e mediata, si crea un valore duraturo, che capitalizza il premio etico che il consumatore riconosce quando paga quel prodotto un po’ di più rispetto ad altri nello scaffale del supermercato.
E’ la relazione che trasforma una tavoletta di cioccolato in un futuro migliore per il contadino peruviano che ha coltivato il cacao con cui è fatta.

Stiamo aiutando noi stessi

Investire sui Paesi in via di sviluppo è investire sul nostro comune futuro di stabilità e di pace, non farlo significa danneggiare noi stessi e il nostro Pianeta.
La storia anche recente insegna che è velleitario pensare di riuscire a tenere lontano conflitti, fame e distruzioni, che i confini che abbiamo tracciato sulle carte geografiche non fermano il cambiamento climatico e si sgretolano sotto la spinta di imponenti flussi migratori forzati.
Se non riconosciamo il giusto prezzo per chi ha prodotto il cibo che mangiamo o per gli abiti che indossiamo, qualcuno ne pagherà la differenza.

Verso uno sviluppo sostenibile: l’Obiettivo 17

Perderemo una occasione storica se non lasceremo dispiegarsi in pieno l’obiettivo di “rilanciare il partenariato globale”, il diciasettesimo, apparentemente il più semplice da conseguire, ma in realtà forse il più sfidante degli SDGs, gli Obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, promossi dalle Nazioni Unite, che ha rimesso al centro la responsabilità di ogni singolo attore come una necessità, ineludibile, per tutti.
Giuseppe Di Francesco, presidente di Fairtrade Italia
 

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