Secondo una ricerca pubblicata oggi, le rose Fairtrade provenienti dal Kenya hanno un’impronta ambientale minore rispetto a quelle prodotte in Olanda, anche tenendo conto del trasporto verso l’Europa.

Una lavoratrice di Karen Roses. ©Fairtrade/Christop Köstlin

Il report, intitolato Life Cycle Assessment of Cut Roses (Valutazione del ciclo di vita delle rose recise), ha rilevato che le rose recise Fairtrade provenienti dal Kenya e trasportate in Svizzera per via aerea o marittima hanno un impatto ambientale minore in tutte le aree analizzate: il fabbisogno totale di energia, le emissioni di gas serra e l’eutrofizzazione dell’acqua dolce, un processo di inquinamento in cui i laghi o i corsi d’acqua diventano eccessivamente ricchi di nutrienti vegetali.

Per le rose olandesi, i fattori più significativi sono il consumo totale di energia (elettricità e gas naturale) e le emissioni di gas serra, entrambi determinati dalla necessità di illuminare e riscaldare le serre olandesi, al contrario di quelle keniane. In particolare, il fabbisogno cumulativo di energia per le rose keniane trasportate via nave è 22 volte inferiore a quella delle rose olandesi convenzionali, mentre l’impronta energetica delle rose keniane trasportate per via aerea è 6,4 volte inferiore a quella delle rose olandesi.

Per le rose Fairtrade dal Kenya è il trasporto aereo ad avere l’impatto maggiore, in particolare sulle emissioni di gas serra. Ciononostante, le emissioni di gas serra delle rose Fairtrade trasportate in aereo dal Kenya alla Svizzera sono ancora 2,9 volte inferiori a quelle delle rose olandesi; se le rose keniane sono trasportate via nave, la differenza sale a 21 volte.

Magazzino di lavorazione dei fiori a Karen Roses (Kenya). © FairtradeI/Christop Köstlin

In Kenya ci sono 48 aziende produttrici di fiori e piante certificate Fairtrade, per un totale di oltre 38.000 persone impiegate. Producono circa 2,6 miliardi di steli all’anno.
Lo studio è stato commissionato da Fairtrade Max Havelaar Svizzera e dall’alleanza cooperativa Migros e ha esaminato le tre fasi di produzione, imballaggio e trasporto delle rose verso la Svizzera. I dati principali sulla produzione floricola di rose olandesi sono stati ricavati dalla letteratura esistente. I dati sulla produzione di rose Fairtrade sono stati raccolti direttamente da cinque organizzazioni di produttori Fairtrade in Kenya. Si tratta dell’aggiornamento di uno studio analogo del 2018, con l’obiettivo di misurare le pratiche di produzione e gli impatti più attuali.

Tra gli altri risultati principali, le rose keniane Fairtrade spedite via nave hanno un impatto migliore rispetto alle rose olandesi per quanto riguarda l’uso dell’acqua (65% in meno), l’acidificazione del terreno (4,3 volte in meno) e l’eutrofizzazione dell’acqua dolce (18 volte in meno).
Se si analizza l’impatto sulla perdita di biodiversità, le rose Fairtrade trasportate sia via aerea che marittima hanno un impatto minore rispetto alle rose olandesi; addirittura quelle importate per via aerea hanno un’impronta minore rispetto a quelle trasportate via nave perchè è più lungo il tragitto che i camion devono fare dai porti rispetto ai più vicini aeroporti. L’uso di pesticidi è l’unico fattore che è risultato più elevato per le rose keniane rispetto a quelle olandesi, anche se i dati dello studio erano limitati.

Lo studio suggerisce infine che la riduzione degli imballaggi potrebbe migliorare ulteriormente l’impronta delle rose dal Kenya. Rispetto alla produzione Fairtrade analizzata nel 2018, la quantità di plastica per gli imballaggi è diminuita, ma un’ulteriore riduzione di carta e cartone migliorerebbe il consumo di risorse e il peso del trasporto.

Tra le montagne e i boschi del Nicaragua, la piccola cooperativa di produttori di Pantasma da vent’anni produce il caffè che viene venduto in Italia attraverso i supermercati Coop. Qui, quello che colpisce lo sguardo è la stratificazione della vegetazione: le piante di caffè sono sovrastate da quelle più alte e poi via via da quelle più alte ancora.
È il cosiddetto “caffè coltivato all’ombra“: ombreggiando, dicono i piccoli contadini, si risparmia in acqua e in fertilizzanti. Il materiale organico che viene deposto dagli alberi, infatti, copre di un manto fertile il sottobosco e lo mantiene umido, riducendo al minimo l’irrigazione.
Vengono piantumate tutte specie autoctone, ma mantenere questo tipo di ambiente comporta sacrificio: la raccolta deve avvenire infatti a mano. Si stacca chicco dopo chicco, e in seguito si trasportano le ceste lungo i pendii per arrivare al centro di fermentazione entro 4 ore dalla raccolta. Un lavoro faticoso che non finisce qui: dopo la fermentazione si caricano i sacchi del caffè sui muli che li trasportano al centro di essicazione, ancora più a valle. Ma ne vale la pena: il caffè in questo modo è più buono e la sua qualità più alta.
Nella giornata mondiale della Biodiversità, che si celebra oggi, questi contadini mi sembrano i principali custodi di quelle varietà, colturali e non, che permettono la sopravvivenza delle specie vegetali e animali. In questo modo esse diventano loro alleate nella coltivazione di questo caffè. È un circolo virtuoso che si alimenta da sè, in cui la natura diventa alleata dei contadini e premia con un raccolto migliore chi la preserva. Un risultato che si traduce, per gli agricoltori Fairtrade, in un compenso più alto; per i consumatori, in un prodotto più buono e più sano.
Nella foto: Dona Rosario, coltivatrice di caffè e presidente della associazione delle donne di Pantasma, Nicaragua. Foto di Aldo Pavan.

“Biodiversità delle colture e dei semi, lavoro nelle campagne, lavoro creativo per i giovani in antitesi all’agricoltura industriale: tutto questo significa agricoltura familiare, valorizzazione dei territori, riconoscimento del ruolo delle donne nella produzione e nella preparazione del cibo”: con queste parole l’ambientalista e attivista indiana Vandana Shiva ha inaugurato ieri ad Expo il Padiglione del Biologico e il Parco della Biodiversità, una piccola oasi all’interno dell’Esposizione Universale dedicata all’agricoltura e gestita da Bologna Fiere in collaborazione con partner nazionali e internazionali del mondo del biologico.
Anche per Vandana Shiva la questione è chiara: la valorizzazione della biodiversità agricola dei territori non può prescindere dal sostegno agli uomini e alle donne che in tutto il mondo si dedicano al lavoro nelle campagne – lavoro che, specie nei Paesi in via di sviluppo, è ancora prevalentemente portato avanti a livello familiare su piccoli appezzamenti agricoli.
D’altra parte non è un caso che il network delle realtà che partecipano al padiglione e aderiranno al neonato Forum del biologico in Expo abbiano incluso tra i principi d’azione per il semestre la promozione di un sistema agricolo equo ed eco-consapevole, che sappia nutrire il pianeta custodendolo – principi per i quali da anni Fairtrade lavora.
Fairtrade infatti non è solo sinonimo di prezzo equo ai produttori e progetti di empowerment nelle comunità: la sostenibilità ambientale è uno dei pilastri della certificazione. È difficile pensare al benessere dei lavoratori dei Paesi in via di sviluppo prescindendo dalle condizioni ambientali in cui si trovano ad operare. Il trattamento delle coltivazioni con prodotti chimici, ad esempio, spesso provoca malattie anche irreversibili per l’uomo; oppure la manipolazione con detergenti, durante le fasi di lavaggio, può produrre irritazioni e gravi danni alla pelle e alla respirazione. Anche per queste ragioni, gli Standard ambientali Fairtrade vietano l’utilizzo di prodotti chimici dannosi per l’uomo e l’ambiente, prevedono l’impiego della lotta integrata in agricoltura e offrono particolari incentivi ai produttori agricoli che vogliono passare al biologico. Inoltre con protezione dell’ambiente si include quella delle risorse idriche e delle foreste vergini. I produttori non possono utilizzare prodotti contenenti organismi geneticamente modificati e si devono dotare di un sistema di controllo e limitazione dell’impatto ambientale delle attività che svolgono. Altri aspetti riguardano la gestione dei rifiuti; il controllo sull’erosione dei terreni e l’introduzione di sistemi specifici per ridurlo; l’inserimento di buone pratiche per incrementare la fertilità del suolo.