Tra le montagne e i boschi del Nicaragua, la piccola cooperativa di produttori di Pantasma da vent’anni produce il caffè che viene venduto in Italia attraverso i supermercati Coop. Qui, quello che colpisce lo sguardo è la stratificazione della vegetazione: le piante di caffè sono sovrastate da quelle più alte e poi via via da quelle più alte ancora.
È il cosiddetto “caffè coltivato all’ombra“: ombreggiando, dicono i piccoli contadini, si risparmia in acqua e in fertilizzanti. Il materiale organico che viene deposto dagli alberi, infatti, copre di un manto fertile il sottobosco e lo mantiene umido, riducendo al minimo l’irrigazione.
Vengono piantumate tutte specie autoctone, ma mantenere questo tipo di ambiente comporta sacrificio: la raccolta deve avvenire infatti a mano. Si stacca chicco dopo chicco, e in seguito si trasportano le ceste lungo i pendii per arrivare al centro di fermentazione entro 4 ore dalla raccolta. Un lavoro faticoso che non finisce qui: dopo la fermentazione si caricano i sacchi del caffè sui muli che li trasportano al centro di essicazione, ancora più a valle. Ma ne vale la pena: il caffè in questo modo è più buono e la sua qualità più alta.
Nella giornata mondiale della Biodiversità, che si celebra oggi, questi contadini mi sembrano i principali custodi di quelle varietà, colturali e non, che permettono la sopravvivenza delle specie vegetali e animali. In questo modo esse diventano loro alleate nella coltivazione di questo caffè. È un circolo virtuoso che si alimenta da sè, in cui la natura diventa alleata dei contadini e premia con un raccolto migliore chi la preserva. Un risultato che si traduce, per gli agricoltori Fairtrade, in un compenso più alto; per i consumatori, in un prodotto più buono e più sano.
Nella foto: Dona Rosario, coltivatrice di caffè e presidente della associazione delle donne di Pantasma, Nicaragua. Foto di Aldo Pavan.