Chi ha il potere nella filiera alimentare?

Vi siete mai chiesti perché prodotti locali come le mele hanno un prezzo simile se non superiore alle banane, che provengono dall’altra parte del mondo? E come mai i piccoli agricoltori diventano sempre più poveri nonostante il prezzo dei loro prodotti sul mercato internazionale salga costantemente? Perché continuano a verificarsi disastri ambientali, nonostante le grandi aziende stiano dando prova di implementare programmi di sostenibilità?
Il nuovo studio “Chi ha il potere? Sfida ai disequilibri della filiera di produzione” diffuso in questi giorni da un network di organizzazioni europee di commercio equo [1] e in partnership con Fairtrade International offre delle risposte ad alcune di queste domande. E rivela come la crescente integrazione e concentrazione del potere nelle filiere agricole stia producendo effetti non solo sui produttori, ma anche lungo tutta la catena alimentare, l’ambiente e le scelte dei consumatori.
“Nei summit internazionali sulla lotta alla fame e alla malnutrizione difficilmente si parla della necessità di migliorare il controllo dei sistemi alimentari per evitare il monopolio da parte delle grosse aziende del settore. Questo report riempie un gap” ha dichiarato nella premessa allo studio Olivier De Schutter, co-Presidente dell’International Panel of Experts on Sustainable Food Systems e Rapporteur delle Nazioni Unite sul Diritto al Cibo (2008-2014).
Analizzando i vari passaggi della filiera (dai produttori, passando per trader e distributori fino ai consumatori), lo studio identifica delle concentrazioni di potere ad alcuni livelli chiave. Inoltre rileva degli schemi ricorrenti attraverso i quali alcuni operatori riescono ad esercitare a cascata pressioni sugli anelli seguenti fino ad arrivare ai produttori. Più piccolo è il numero dei soggetti che operano a ciascun livello, più forte è l’influenza che essi riescono ad esercitare sugli anelli più prossimi della filiera.
Detto altrimenti, i consumatori (7 miliardi) e i produttori/agricoltori (2,5 miliardi) costituiscono in numero assoluto gli anelli della filiera più consistenti, ma la maggior parte del valore degli scambi commerciali (fino all’86%) sta tra i distributori e chi lavora/trasforma il prodotto: ad esempio 4 corporation commercializzano il 90% del grano a livello mondiale, e 5 catene di supermercati controllano il 50% del mercato in Europa. Oppure, nella filiera del cacao a livello globale, retailer e branded manufacturer controllano ciascuno il 35-40% del valore, lasciando ai coltivatori di cacao solo il 5%.
Puntando dritto al cuore del problema, lo studio propone 16 consigli pratici per i politici, gli imprenditori e i lavoratori di tutto il mondo per rispondere a tale situazione. L’Unione Europea ha la responsabilità di prevenire e contrastare tali pratiche di commercio non corrette, sulla base del potere di acquisto dei suoi 550 milioni di abitanti e dei numerosi accordi commerciali che può mettere in atto con i paesi produttori esportatori. D’altra parte le legislazioni nazionali devono essere in grado di affrontare la tendenza alla concentrazione di potere.
Solo se tutti gli attori saranno di comune accordo sarà possibile muovere dei passi in avanti verso la soluzione.
 
 
[1]Il report è stato commissionato dal Fair Trade Advocacy Office (FTAO), Traidcraft, Plate-forme pour le Commerce Equitable e Fairtrade Deutschland, con il supporto della Commissione Europea, la Cooperazione allo Sviluppo Belga, l’Agenzia Francese per lo sviluppo e la regione Île-de-France.

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