Margarita, la voce di una comunità

Riservata ma allo stesso tempo molto desiderosa di raccontare la propria storia. Margarita Munoz, membra del collegio sindacale della cooperativa di bananeros panamensi COOBANA, è una donna che sa cogliere l’attimo. “Prima dell’arrivo del commercio equo non mi ero mai allontanata dalla zona di Bocas del Toro dove vivo e ho sempre vissuto” mi dice Margarita, sorseggiando tranquilla un bicchiere d’acqua durante un momento di sosta della sua visita ad Expo. “Poi le cose sono cambiate grazie a Fairtrade, e oggi sono qui per raccontare dei progetti che portiamo avanti grazie al Premio. Si tratta di iniziative di cui beneficia tutta la collettività, come la trasformazione delle latrine in bagni privati, oppure i miglioramenti tecnici per incrementare la produzione delle piante, oppure i progetti ambientali, come quello a sostegno della riproduzione delle tartarughe”. Per Margarita questa è la prima volta fuori da Panama. L’occasione è un incontro organizzato da Coop e dell’importatore di frutta Ctm Agrofair, due partner commerciali di Fairtrade, nella piazza del Future Food District, durante il quale Margarita ha portato la testimonianza dei benefici di cui ha goduto la sua organizzazione grazie al circuito Fairtrade. E nonostante le apparenze, scopro che di cose da dire ne ha davvero molte.
“Sono molto orgogliosa di poter essere qui. Per anni la mia vita è stata solo lavoro, lavoro e ancora lavoro. Poi pian piano con la cooperativa (di cui Margarita è stata Presidente, ndr) abbiamo iniziato ad organizzarci e, grazie ai partner commerciali, sono stata invitata a raccontare la nostra storia ad altri contadini come noi. Ora ho persino attraversato l’Oceano da sola. È un grande cambiamento nella mia vita personale e io sono molto felice di intervenire a nome di tutta la comunità perché oggi posso dire che tante sofferenze sono passate e che ora, grazie a Fairtrade ci siamo rialzati in piedi”. Pausa. È uno di quei silenzi che nascondono vissuti molto tristi. La storia dei circa 300 soci della cooperativa è stata segnata dalle violenze subite da parte dalle forze dell’ordine che impedivano gli scioperi ai lavoratori, ma anche dall’obbligo che un tempo veniva imposto ai contadini di utilizzare in modo sconsiderato prodotti chimici. Sostanze che oggi, ad anni di distanza, si pensa abbiano arrecato danni di salute permanenti ai lavoratori, portando anche alla sterilità in alcuni casi. “Prima eravamo solo dei poveri contadini che nessuno ascoltava. Ma ora conosciamo un tipo di commercio che è “giusto” coi lavoratori per il salario e il Premio che conferisce. E non parlo solo del denaro, ma anche dei rapporti umani e del supporto che ci viene fornito. Io sono molto emozionata ad utilizzare la parola Fairtrade, perché davvero ha cambiato di molto la vita dei lavoratori di COOBANA”.
Ciò che mi colpisce quando ho la fortuna di incontrare produttori Fairtrade che hanno un passato così duro alle spalle è la speranza con cui guardano avanti e immaginano un futuro migliore. Di cui anche noi siamo parte, più o meno consapevolmente.

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