Il Corno d'Africa brucia di fame e sete. La risposta Fairtrade al cambiamento climatico

In queste settimane una delle peggiori carestie da 60 anni a questa parte sta colpendo il Corno d’Africa. Secondo la Fao decine di migliaia di persone sono già morte e almeno 750mila rischiano di perdere la vita entro i prossimi quattro mesi, se non ci saranno interventi rapidi ed efficaci. Ma si tratta di una carestia annunciata. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC sul cambiamento climatico, il futuro clima del Corno d’Africa sarà sempre più estremo: periodi di siccità più lunghi da un lato, inondazioni improvvise dall’altro. Che non solo metteranno a dura prova la vita di chi abita quei luoghi, ma faranno gradualmente scomparire anche molte colture tipiche della zona, a partire dal caffè, originario degli altopiani etiopici. Secondo uno studio del Natural Resources Institute entro il 2050 potremmo ritrovarci a gustare l’ultima (costosissima) tazzina di caffè. Lo sfruttamento eccessivo delle risorse agricole e l’uso irresponsabile dei combustibili fossili stanno cambiando il volto del pianeta, sempre più velocemente. La carestia nel Corno d’Africa è un segnale di una febbre bruciante che bisogna spegnere. Il primo cruciale passo è ritornare ad un’agricoltura sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Nel Corno d’Africa vivono e lavorano molti produttori di caffè certificato Fairtrade, come l’Unione di Cooperative Oromia e l’Unione di Cooperative Sidama, tra le prime a convertire la propria produzione di caffè in agricoltura biologica. Il loro lavoro dimostra giorno per giorno che si può coltivare la terra rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori.

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